Silvia Grassi è fra gli indizi della pittura contemporanea.
Si è avuto modo di conoscere l’artista tra i partecipanti selezionati al Premio Internazionale Catalani - Seconda edizione, ideato e organizzato da Spazio Macos, galleria d’arte messinese diretta da Mamy Costa.
Scoprendo l’identità artistica di Silvia Grassi non si poteva non ricordare Edith Kramer, ispiratrice delle Scuole di Formazione in Arteterapia.
La sua singolare esperienza iniziò con la conduzione di laboratori artistici per i bambini nel ghetto di Praga nel 1934, a fianco dell’artista e fotografa Friedl Dicker Brandeis, allieva di precursori di correnti artistiche fra cui Kandinsky, Klee e Itten.
Il percorso didattico-creativo di Edith Kramer segnò la fondazione, nel 1976, di un programma per l’insegnamento dell'Arteterapia presso la New York University.
“Arte come Terapia” divenne un metodo che si estese oltre oceano, arrivando in Italia intorno agli anni ottanta prima a Torino e poi a Milano nel 2000, grazie all’impegno di Raffaella Bortino, psicoterapeuta ed arte-terapeuta.
Spiega Silvia Grassi:
«La mia arte è terapeutica, come una pillola di serenità che mi dà la forza di superare i brutti momenti.»
Può l’arte diventare un farmaco idoneo a risanare le ferite dell’anima e alimentare la vivacità immaginativa?
Di certo le composizioni pittoriche di Silvia Grassi evocano il metodo della Kramer tutte le volte in cui sperimentano che:
“l’arte serve come modello del funzionamento dell’Io: diventa una zona franca in cui è possibile esprimere e saggiare nuovi atteggiamenti e risposte emotive, anche prima che queste modificazioni abbiano luogo a livello di vita quotidiana”.
A proposito di “qualità in arte”, Edith Kramer ne rilevava non tanto l’aspetto estetico, ma l’idoneità terapeutica manifestata dallo status di equilibrio interiore.
Pertanto “economia di mezzi, coerenza interna e potere evocativo” attivano “una complessa funzione dell’Io che impegna in uno sforzo supremo facoltà manuali, intellettive ed emotive”.
La tecnica, il sentimento e l’immaginazione sono gli elementi mescolati sulla tavolozza di Silvia Grassi, tale che le sue tele diventano liriche suggestive, come feritoie aperte sulla natura.
Con l’animo sorpreso di un bambino e la consapevolezza memore del passato ed insieme grata per il futuro, Silvia Grassi si scopre narratrice figurativa di paesaggi interpretati sotto il segno bucolico virgiliano.
Silvia Grassi, l’intervista
"La pittura è poesia silenziosa, la poesia è pittura che parla".
Questa frase del poeta greco Simonide di Ceo mette a confronto due forme d’arte diverse e complementari nell’emozionarsi.
Se pensa al momento oppure all’immagine da cui è scaturito il suo “fare pittura”, quale sceglierebbe?
Il mio cosiddetto periodo del “fare pittura”, è iniziato quattro anni e mezzo fa, quando la depressione bloccava il mio cuore.
Il 5 aprile del 2017 mi hanno diagnosticato un tumore al seno al San Raffaele di Milano.
Noi abitiamo ad Altopascio, un paese in provincia di Lucca, ma mio marito ha preferito portarmi immediatamente a Milano, dal Dottor Gentilini, Primario del Reparto di Senologia, che conosceva molto bene e del quale provava una profonda stima.
Dopo la mastectomia piangevo spesso, la terapia mi faceva stare male, così mi sono dedicata allo scrivere poesie e al disegno, per distogliere la mente.
Non avendo frequentato una Scuola d’Arte, ma un liceo scientifico ad indirizzo linguistico, non ero capace di dipingere i miei disegni.
Ho chiesto aiuto ad un mio amico, Roberto Pasquinelli, pittore di Montecarlo, provincia di Lucca.
Ho fatto due corsi di pittura con lui e poi ho continuato da sola per la mia strada.
Non a caso si è detto “fare pittura”, perché in una composizione pittorica, oltre ad un sentimento o un’idea, ci sono lo stile e la tecnica.
Quali sono lo stile e la tecnica che caratterizzano le sue opere pittoriche?
Predilige la riproduzione della realtà oppure la reinterpretazione e la sperimentazione dei linguaggi pittorici?
Come ho già detto, non avendo frequentato alcuna scuola, ma soltanto due corsi di pittura, le mie opere sono prive di basi didattiche.
Cerco di rappresentare quei paesaggi e quelle figure che mi danno un senso di serenità, come ad esempio un tramonto, la campagna toscana, due amanti in riva al mare, la maestosità della natura, la flora, la fauna, e così via…
Mi hanno definita una pittrice naïf, penso proprio per il mio modo ingenuo di approcciarmi alla pittura, quasi infantile.
La mia arte è terapeutica, come una pillola di serenità che mi dà la forza di superare i brutti momenti.
Silvia Grassi, L'angelo azzurro, olio su tela, 50 x 40
La ricerca dell’immagine e della sovraesposizione mediatica hanno monopolizzato la nostra società.
Pensa che l’arte possa tuttora esercitare un ruolo divulgativo di contenuti e veicolare emozioni?
Nella nostra società, c’è sempre la ricerca continua della perfezione.
Bisogna sempre essere magre, belle e piacere a tutti. Se non si rientra negli ideali della comunità, allora si rimane tagliati fuori.
A volte il “fare Arte” diventa un rifugio sicuro per chi non si ritiene adeguato.
Attraverso la pittura l’artista manifesta le sue sensazioni con le opere e chiunque, osservandole, rende proprie queste emozioni, adeguandole alla propria persona.
Se fosse possibile tornare indietro nel tempo, quale corrente artistica sceglierebbe come più coerente all’impronta estetica che segna le sue opere?
Le mie opere esprimono sensazioni personali, così evidenziando quel certo accento naïf impressionistico.
Nella vita ho incontrato non poche difficoltà.
Ho perso mio padre quando avevo 23 anni, annegato nella vasca di ristagno della nostra lavanderia industriale e ancora oggi, dopo quasi 30 anni, ricordo ogni attimo di quel giorno maledetto, la difficoltà nel tirare avanti l’azienda di famiglia, a tal punto da farmene una malattia.
La nostra intervista è iniziata con un’antica definizione della pittura.
Qual è la sua definizione e qual è il rapporto con le sue opere?
La pittura per me è un modo per fuggire dal dolore della terapia, dalla tristezza dei brutti ricordi e dalla cattiveria di alcuni.
È un porto sicuro per la mia anima triste, dove i colori vivaci mi danno la gioia di vivere.
Il mio “vivere a colori” è appunto terapeutico e lo esprimo con le mie opere, nella speranza che, chiunque le osservi, possa imparare a conoscermi.
La pittura di Silvia Grassi dimostra che non possa definirsi arte l’esito di un’espressione che sia composta soltanto da tecnica e non sia accompagnata anche dal sentimento.
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